sabato 18 agosto 2012

Incominciamo dunque fratelli... Il ciclo giottesco della Basilica di Assisi con la storia di san Francesco. 1: L'omaggio dell'uomo semplice

Si tratta dunque ora di partire. E non c'è miglior punto per iniziare che, appunto, l'inizio. La vita di san Francesco che Giotto - o forse, almeno secondo alcuni, sarebbe meglio dire più genericamente "i giotteschi" - illustra dopo il 1288 nel registro inferiore della navata della Basilica superiore di Assisi, come tutte le storie che si rispettino ha un inizio e ovviamente una fine. Una introduzione che, come è da sempre consuetudine, sembra essere stata "scritta" alla fine per dare una chiave di lettura alla storia stessa. Si tratta del primo riquadro sul lato nord della prima campata da ovest, quella che viene comunemente intitolato: "L'omaggio di un uomo semplice". Ecco l'immagine nella versione "com'era", ricostruita virtualmente in occasione della mostra "I colori di Giotto. La Basilica di Assisi tra restauro e restituzione virtuale" del 2010 e pubblicata nel sito del Ministero per i Beni e le Attività Culturali
L'episodio è tratto - come per tutto il ciclo - dalla Legenda maior di san Bonaventura, la biografia "ufficiale" di san Francesco approvata dal Capitolo generale dell'Ordine minoritico tenutosi a Pisa nel 1263. Così scrive l'autore nel capitolo primo in cui presenta la condotta di Francesco da secolare:
Vi fu, nella città di Assisi, un uomo di nome Francesco, la cui memoria è in benedizione, perché Dio, nella Sua bontà, lo prevenne con benedizioni straordinarie e lo sottrasse, nella sua clemenza, ai pericoli della vita presente e, nella sua generosità, lo colmò con i doni della grazia celeste. Nell'età giovanile, crebbe tra le vanità dei vani figli degli uomini. Dopo un'istruzione sommaria, venne destinato alla lucrosa attività del commercio. Assistito e protetto dall'alto, benché vivesse tra giovani lascivi e fosse incline ai piaceri, non seguì gli istinti sfrenati dei sensi e, benché vivesse tra avari mercanti e fosse intento ai guadagni, non ripose la sua speranza nel denaro e nei tesori. Dio, infatti, aveva infuso nell'animo del giovane Francesco un sentimento di generosa compassione, che, crescendo con lui dall'infanzia, gli aveva riempito il cuore di bontà, tanto che già allora, ascoltatore non sordo del Vangelo, si propose di dare a chiunque gli chiedesse, soprattutto se chiedeva per amore di Dio. Una volta, tutto indaffarato nel negozio, mandò via a mani vuote contro le sue abitudini, un povero che gli chiedeva l'elemosina per amor di Dio. Ma subito, rientrato in se stesso, gli corse dietro, gli diede una generosa elemosina e promise al Signore Iddio che, d'allora in poi, quando ne aveva la possibilità, non avrebbe mai detto di no a chi gli avesse chiesto per amor di Dio. E osservò questo proposito fino alla morte, con pietà instancabile, meritandosi di crescere abbondantemente nell'amore di Dio e nella grazia. Diceva, infatti, più tardi, quando si era ormai perfettamente rivestito dei sentimenti di Cristo, che, già quando viveva da secolare, difficilmente riusciva a sentir nominare l'amore di Dio, senza provare un intimo turbamento. La dolce mansuetudine unita alla raffinatezza dei costumi; la pazienza e l'affabilità più che umane, la larghezza nel donare, superiore alle sue disponibilità che si vedevano fiorire in quell'adolescente come indizi sicuri di un'indole buona, sembravano far presagire che la benedizione divina si sarebbe riversata su di lui ancora più copiosamente nell'avvenire. Un uomo di Assisi, molto semplice, certo per ispirazione divina, ogni volta che incontrava Francesco per le strade della città, si toglieva il mantello e lo stendeva ai suoi piedi, proclamando che Francesco era degno di ogni venerazione, perché di lì a poco avrebbe compiuto grandi cose, per cui sarebbe stato onorato e glorificato da tutti i cristiani
(I,1 : FF 1027-1029).
La lunga citazione potrebbe bastare a giustificare la scelta di chi curò il programma iconografica (forse il minorita fra Jacopo Torriti che papa Niccolo IV - il primo francescano a salire sulla cattedra di Pietro - porterà poi a Roma dove realizzerà i mosaici absidali di San Giovanni in Laterano e di Santa Maria Maggiore)... se non fosse per alcuni particolari che ci "costringono" a soffermarci ulteriormente. il pittore rappresenta colloca l'episodio nella principale piazza della Città, quella che oggi è conosciuta come Piazza del Comune, dove, accanto al Palazzo del Capitano del Popolo con la torre completata nel 1305 (guarda caso nel nostro affresco è ancora priva del tetto e nell'ultima serie di finestre si intravede un argano usato per la costruzione)c'è l'antico tempio di Minerva... reso con qualche abbellimento come ad esempio il rosone nel timpano. Ecco, per un utile confronto (e ad eventuale conferma) un'immagine della realtà:
Ma torniamo all'affresco e al "protogonismo" dell'antico tempio. Stupisce infatti come non sia semplicemente uno sfondo. Le persone sono messe sui lati forse perché appunto l'edificio appaia in tutto il suo insieme. Ma perché? Sappiamo dagli storici che il Tempio di Minerva ai tempi di Francesco era utilizzato come pregione, come sembrano sottolineare le inferriate alle due finestre. Un tempio, un carcere. La mente va qui alla confessione che Francesco fa nel Testamento del 1226 circa i suoi inizi:
Il Signore dette a me, frate Francesco, di incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi
(1: FF 110). Sembra quasi che il nostro quadro voglia tradurre in immagini questo tempo della vita di Francesco: un tempio dove si adorano gli idoli rimanda facilmente al peccato che ha la sua radice nell'idolatria di sé, un'idolatria che rende schiavi (il carcere appunto) e incapaci per paura di accostarsi al diverso. Parafrasando potremmo far dire a Francesco: "quando adoravo me stesso non ero libero di incontrare l'altro". E' questo il punto di partenza di un cammino di conversione dal peccato, di liberazione dalla paura. Un'ultimo sgurdo alla figura dell'uomo "semplice" che getta il suo mantello ai piedi di Francesco in un gesto celebre nell'iconografia dell'ingresso di Gesù a Gerusalemme narrato nel vangeli e di cui si seguono le rappresentazioni di Giotto della Cappella degli Scrovegni di Padova (1303-1305) e di Pietro Lorenzetti nel transetto sud della Basilica inferiore di Assisi (1310-1319)
Quale il collegamento? Forse l'idea che il cammino di conversione che Francesco intraprende è reso possibile dal mistero del Cristo che a Gerusalemme patì, morì e risuscitò, rendendo così l'uomo "capace" di riscattarsi in lui dalla schiavitù del peccato e della morte.

Incipit

Non c'è una ragione per cui ho pensato di aprire questo blog. A dire il vero qualche tempo fa un amico me lo propose... così, quasi per scherzo, forse per darmi uno spazio per dire qualcosa senza bisogno di avere qualcuno che le ascolti. Eccomi ora qua a condividere l'esperienza di questo tempo che la Provvidenza - in uno dei suoi imperscrutabili disegni - mi ha portato a vivere ad Assisi, presso la tomba di Francesco, all'ombra della splendida Basilica a lui dedicata. Proprio da qui vorrei partire ragionando "ad alta voce" su alcune immagini nelle quali mi capita spesso di guidare pellegrini e turisti. Se qualcuno dovesse per disavventura imbattersi in queste righe abbia compassione di me: non sono esperto di nulla e proprio questa consapevolezza mi ha fatto nascondere dietro un nome come appunto "anonimo francescano". Un eccesso di familiarità forse che fa cedere alla presunzione di aver qualcosa da dire. E se poi qualcuno vorrà interagire - non so ancora se e in che modo lo strumento lo permette - sia il benvenuto... anche per tentare un'impresa comunque ardua: se non proprio toglermi almeno sollevarmi un po' da questa ignoranza. Grazie dunque, anche sole di essere arrivato fin qui. Il Signore ti dia Pace